LA   SERVETTA E  IL  GABBIANO
Cavalli al passo
e cocchiere dormiente,
se ne andava
il carro con il morto,
bel bello,
attraversando mezza Roma,
ma nella bara, ormai
soltanto un corpo,
mentre lo Spirito
per volar lontano
aveva preso
sembianze di gabbiano.
Libero si abbandonava
allaria e ai venti
dopo una vita tanto soffocante,
troppo seria, troppo rigorosa.
Giorno e notte sui libri
senza posa,
per nascita votato
a un sol mestiere&
la dura disciplina del sapere!
Divertirsi, distrarsi,
certo non giova
-pensava-
e tutti lo chiamavan
Professore
e lui studiava,
studiava ore ed ore
e si attendeva
molto prestigio&e onore.
Nulla. Non ebbe nulla,
solamente
ragazzini indolenti
che volentieri
avrebbero scambiato
versi Danteschi
con il mal di denti.
Così alla soglia
delletà canuta
disse: basta!
E' ora di cambiare.
E si prese una serva
tuttofare
che con qualche moina
ben... servita
gli disse: vedrai
ti cambierò la vita!
E la vita cambiò.
Giorno per giorno,
e buona buona
lui divenne servo
e lei padrona,
e quando il professore
chiese: com'è?
Non ho più un soldo
e tu fai la signora!
Ebbe in risposta
definitiva e chiara,
il veleno per topi nel caffè.
E ora dietro al carro
la donna
e lei soltanto,
lo accompagnava
all'ultima dimora
sotto il sole cocente,
e per nascondere a tutti
il ghigno soddisfatto
si riparava
con un ombrello viola.
Ali spiegate
tra le nubi e il cielo
il gabbiano
prima professore,
era così felice
del suo stato
da dimenticare lì per lì,
d'esser deceduto
morto ammazzato.
Finché guardando in basso,
vide l'ombrello viola.
Vide la donna
camminare lenta,
seguire il carro
senza alcuna fretta,
perché teneva appresso
tutto il suo tesoro
ben stretto e chiuso
dentro alla borsetta.
A quella vista
il professor gabbiano
si gonfiò
di rabbia e di vendetta,
il cielo abbandonò
e giù in picchiata
puntò diritto
sulla ex servetta.
Con il potente becco
le rubò l'ombrello
e al cocchiere
lo mise per cappello.
Quello,ignaro
si svegliò di soprassalto
e poi urlò, imprecò,
fece schioccar la frusta
ed ecco che i cavalli
imbizzarriti
tutto d'un botto,
dal passo si misero al galoppo.
Così, per cieco,
irrazionale impulso
la donna
privata dell'ombrello,
lanciata ad inseguire il carro
correva a più non posso,
scarmigliati i capelli,
con il sudore
che le colava addosso,
stringendo la borsetta
starnazzava
fermati scellerato,
che ho da seppellir
'sto disgraziato!
E intanto, là sul carro
la bara sobbalzava
e al suo passaggio
la gente si sbracciava
ferma i cavalli, ferma!
Che te  perdi er morto!
E tutti dietro
ad inseguir la donna
in una folle
quanto insensata gara,
a fermare il carro con la bara.
E ahimè!
In tutto quel marasma
in quella confusione
la donna perse la presa
e la borsetta
le volò via, lontano.
Lei, disperata
la vide aperta là,
sul selciato
come una bocca larga,
spalancata
che vomitava tutto il suo denaro
per l'intera borgata.
Banconote da cento
da cinquanta
e ancor da cinquecento,
che ammucchiate
un poco alla rinfusa,
presero il volo
portate via dal vento.
Vento gagliardo,
dispettoso,
che non chiedeva scusa
e giocava irriverente
con la cupidigia della gente.
E allora tutti
si misero a saltare,
acchiappar banconote
era un affare!
Ed esclamavano
Miracolo! Davvero!
Stanno piovendo soldi
giù dal cielo!
Subito la donna
lasciò andare il morto
e dava calci e pugni
a tutti quanti
per strappare i suoi soldi
a quelle mani,
e alla fine tutti contro tutti
furon botte da orbi,
sberle sonanti!
E intanto
il carro con il morto
era sparito
e dall'alto di un tetto
il professor gabbiano,
a far da spettatore
se ne stava,
osservava quel pazzo mondo
là in basso,
si lisciava le penne
e... gongolava.
Poteva ben dirlo,
senza rimpianto,
che in vita sua non s'era 
mai divertito tanto!