ACQUA  DI  FONTE    LUGLIO  '17 
Toccava a lei e a nessun altro. Per questo motivo era tornata, ma era l’ultimo posto dove avrebbe voluto essere. Tuttavia l’agenzia aveva trovato un acquirente e lei non poteva farselo scappare.
Pietro che l’aveva accompagnata, si guardò intorno.
“ Tutto può finire solo dove ha avuto inizio ”, le aveva detto prima di partire.

Di per sé Martina non trovava fastidioso andare alla fontana a prendere l’acqua, il problema era abbandonare i giochi e la combriccola di ragazzini con cui trascorreva la giornata. Quando nella piazzetta del piccolo borgo la voce della nonna rimbalzava sui muri delle case, lei in un primo momento fingeva di non sentire, ma quando alla voce della nonna si sostituiva quella di sua madre, allora bisognava andare davvero. Martina correva verso casa: se si fosse sbrigata avrebbe potuto giocare ancora un po’ prima di pranzo.
Le vacanze dai nonni assorbivano completamente i mesi di Luglio e Agosto, quando la campagna diventa ristoro e non si vede l’ora di lasciare la grigia periferia della città. Martina e suo fratello Filippo, quattro anni di moto perpetuo, vivevano quei mesi estivi nella più totale spensieratezza, liberi come elfi nell’incanto della campagna, ma la bambina aveva il compito di andare tutti i giorni a prendere l’acqua alla fontana.
Vi si arrivava dalla casa dei nonni percorrendo un sentiero in discesa, tra alberi e grandi cespi di ortensie che regalavano spettacolari infiorescenze.
La fontana, una costruzione di fine ottocento di mattoni a vista e pietre, appariva come un piccolo loggiato che si apriva ad arco sul getto continuo dell’acqua mentre una vasca sottostante ne riceveva l’abbondanza, tanto che per tracimazione riempiva una seconda vasca contigua e ugualmente profonda. Sul bordo esterno delle vasche la presenza di una grande piastra in ardesia trasformava di fatto la fontana in un lavatoio, di pertinenza all’abitazione dei nonni che risaliva alla stessa epoca.
Un ruscello scorreva poco distante ed era scavalcato da un ponticello che poggiava su uno sperone scistoso sporgente su una pozza, dove l’acqua ospitava nugoli di girini.
L’acqua della fontana sgorgava dalle viscere della terra ininterrottamente,  limpida e freddissima anche in estate, e il nonno si faceva vanto di possedere una tale risorsa.
” Avere così tanta acqua è una grazia”, affermava compiaciuto. Fatto sta che il fiasco dell’acqua nel bel mezzo della tavola apparecchiata, era d’obbligo ogni giorno che faceva Dio, e quando il nonno tornava accaldato dai campi, alle dodici e quindici in punto, subito se ne versava un bicchiere e beveva tutto d’un fiato.
“ Lava via tutta la stanchezza” diceva, e guai se non c’era. Per andare a prendere l’acqua la madre di Martina le affidava un fiasco da due litri, ma prima lo infilava in una sporta di tela con manici robusti.
” Così lo porti meglio. E stai attenta a non romperlo, che ti puoi tagliare…”
Poteva accadere che la bambina convincesse qualche compagna di giochi a seguirla sul percorso dell’acqua, ma succedeva di rado, solo quando il divertimento per qualche motivo aveva perso l’attrattiva iniziale.
Un giorno l’accompagnò Ermanno, senza che lei glielo avesse chiesto. Passarono da casa a prendere il fiasco, Ermanno disse  ”lo porto io” e poi, mentre scendevano per il sentiero vestito di ortensie, le aveva chiesto: “ Con chi tieni?”
“ Cosa?” Martina era confusa. Avere accanto Lancillotto fuori dalla parte, le procurava uno stato di sconosciuta euforia e lei non riusciva a pensare ad altro. E lui si era persino offerto di portare il fiasco! Lancillotto era il ruolo che Ermanno non cedeva a nessuno, preferiva fare a botte piuttosto, e non si capiva perché, quando si giocava ai “ Cavalieri della Tavola Rotonda” tutti i maschi volessero interpretare Lancillotto e nessuno volesse i panni di Re Artù, e poi c’erano bambine che volevano essere cavalieri e lei era sempre Ginevra.
“ Con quale squadra tieni?” ripeté Ermanno.
“Con nessuna squadra, e tu?”
“ Io sono sampdoriano” affermò il bambino con il tono di chi pronuncia un giuramento.
“Allora anch’io.”
Avevano continuato a scendere fino alla fontana, poi Ermanno aveva sistemato la bocca del fiasco proprio sotto lo sgorgare dell’acqua, e stava lì, piegato in avanti in attesa che si riempisse, la testa appena ruotata verso di lei.
“ Perché non ci fidanziamo?” s’era dato coraggio e aveva parlato tutto d’un fiato.
“ Ma sul serio o per finta?” aveva chiesto Martina con un leggero tremolio nella voce.
Il fiasco ormai pieno stava appoggiato sul divisorio delle due vasche.
“ Per davvero”, aveva risposto il ragazzino, poi  sfiorandole la bocca le aveva dato un bacio su una guancia.

Martina non riusciva a star ferma sulla sedia, mentre osservava la nonna ai fornelli. Si era fidanzata, era una cosa importante, doveva dirlo a qualcuno.
La nonna si voltò verso di lei: notò che dondolava le gambe avanti e indietro e, allo stesso tempo, con una mano tormentava il lobo di un orecchio. Il segnale era chiarissimo, significava che la bambina doveva dire qualcosa ma non sapeva da che parte cominciare. Chissà poi se voleva parlare proprio con lei, ma non poteva vederla così sulle spine.
“ Allora Marti, va tutto bene?” chiese.
Per un attimo Martina si fermò a riflettere se fosse il caso di confidarsi, poi tutto d’un fiato disse:
“Io…mi sono fidanzata con Ermanno.”
La nonna parve pensarci su, poi esclamò:
“ Mi sembra una bella cosa !” e le sorrise.
Subito dopo aggiunse il sale in una grande pentola di terracotta. Da tutta la vita preparava sughi e stufati nelle pentole di terracotta e sarebbe stato sempre così.
Nonna Ida era di quella pasta, non voleva stare al passo con i tempi e non voleva saperne di sottomettersi a tutte quelle diavolerie moderne che la gente si metteva in casa. Ad esempio mai e poi mai avrebbe ceduto alle lusinghe di una lavatrice, neanche se le avesse restituito i panni lavati, stirati e rammendati.
Nonna Ida faceva il bucato due volte alla settimana: in inverno c’erano le conche in alluminio stagnato, nelle quali si versava cenere e acqua calda, e in estate c’era la fontana, con le sue vasche e la pietra in ardesia dove insaponare e sfregare e risciacquare e insaponare ancora e sbattere e strizzare, finché anche il più recondito lembo di stoffa non avesse superato la prova del controluce.
Mentre faceva il bucato alla fontana, nonna Ida cantava ” lucean le stelle…” e “…che gelida manina.”
Lavava e cantava, cantava e lavava, il suono dell’acqua come sottofondo musicale e intanto il pensiero volava lontano.
Poi il suo corpo l’aveva tradita, soprattutto le mani: rosse, screpolate, gonfie, quasi tumefatte, doloranti a tal punto che le dita non tenevano più la presa e tutto le sfuggiva.
“Artrite reumatoide” dissero i medici e l’acqua meno si tocca meglio è. Divieto assoluto per l’acqua fredda e
in casa entrò la lavatrice. Nonna Ida smise di cantare.
”Mi manca la musica dell’acqua, la lavatrice fa troppo rumore” diceva.
Nella vasca della fontana il nonno per ferragosto metteva a rinfrescare un’anguria enorme.  La metteva nell’acqua il giorno prima e quando andava a tirarla fuori da là, la portava in casa come un trofeo.
“ Guardate che meraviglia. Io non sbaglio quando scelgo l’anguria!” E subito iniziava il rito del taglio sul grande lavello di marmo, una fetta a testa, due per Filippo e Martina ” che sono ancora piccoli e devono crescere.”
“ L’anguria non fa crescere, fa pisciare” ribatteva la nonna e tutti ridevano mentre affondavano la faccia nella polpa rossa. Quello era l’ultimo spensierato ricordo che aveva Martina di quei luoghi.

Era un giorno di fine agosto di un’estate caldissima e senza piogge, che persino il getto d’acqua della fontana s’era fatto più debole e occorreva tenere il fiasco là sotto, con il braccio teso, per lunghissimi minuti.
Rimaneva meno di una settimana da godere dal primo all’ultimo istante, prima di ritornare in città.
“ Voglio andare con Martina, voglio vedere i girini nel ruscello”, insisteva Filippo.
“Non ce ne sono più girini- aveva obiettato Martina- il ruscello è in secca.”
Il bambino aveva pestato i piedi e strillava.
Sua madre avrebbe potuto dire “no”, invece disse:
“ Martina, mi raccomando sta’ attenta a tuo fratello.”
I bambini saltellarono giù per il sentiero tenendosi per mano.
Alla fontana Martina disse a Filippo “ sta’ fermo qui ” e si sporse tutta all’interno del piccolo riparo, con il braccio teso a reggere il fiasco sotto la sottile discesa dell’acqua.
Dopo pochi istanti percepì un tramestio.
“ Filippo ?” chiamò. Non ebbe risposta, capì che il bambino si era allontanato. Non voleva lasciare il fiasco, mancava poco perché fosse pieno, poi sentì un rumore sordo provenire dal ruscello. Tirò via il fiasco, lo posò a terra, si voltò. Filippo non c’era più.
Sentì freddo in tutto il corpo e le gambe di pietra, ma senza sapere come si trovò  sul piccolo ponte e guardò giù, in direzione della pozza dei girini. Urlò, con quanto fiato aveva in corpo, si inginocchiò sul selciato del ponte, si aggrappò con le mani ai tubi di ferro della ringhiera e stringeva forte come non dovesse staccarsi da lì mai più.  Urlò, pianse, e gridando chiamava sua madre.
Nella pozza quasi asciutta il piccolo corpo scomposto di suo fratello restava immobile, il visetto affondato per metà nella melma del fondo, rigato da striature rosso vivo.

Pietro l’abbracciò. Nel rumore dell’acqua, la risata d’argento di suo fratello prese vita e divenne un ricordo nitido.
“ Ho sete” disse Martina. Si avvicinò al getto della fontana e raccolse l’acqua con le mani.
Limpida e fresca, in ogni fibra del suo corpo, aveva il sapore di un tempo nuovo.