LA  CANTINA  DELLA  MUSICA                                           Settembre 2016
Il racconto è finalista al quarto posto nel concorso "LA QUARA"  di Borgo Val di Taro.         Vedi la sezione Attività => Premi Letterari
Hai voluto questa casa ostinatamente. Un numero imprecisato di stanze. Tanto spazio dentro, tanto spazio fuori. Verde, il colore predominante.
Hai voluto questa casa, senza ascoltare i pareri contrari, neanche quello dell’uomo che ami.
“ Ma sta cadendo in rovina! “ Ha detto lui, mentre saliva le scale e andava a ispezionare le camere da letto.
“ Non è vero. E poi la sistemeremo poco per volta.” Hai detto tu.
Non la volevi mica per te, la casa. Quando l’hai trovata, e subito l’hai scelta, non era a te che pensavi, ma ai tuoi figli.
“ Che assurdità! – ha commentato lui scuotendo il capo – ancora non ne abbiamo di figli. “
“ Ne avremo – hai ribattuto tu – almeno tre. “
Giovinezza, che non sa.
La ristrutturazione della casa sembrava non avere mai fine. Anche il parto di Matteo sembrava non avere mai fine. Troppe complicazioni. Matteo, è nato a caro prezzo. Altri figli? Da escludere, hanno detto.
Ancora adesso, che ha diciannove anni, guardi Matteo e pensi che sarebbe stato un meraviglioso fratello maggiore, ma è da tanto che hai deciso di lasciarti i rimpianti alle spalle. Sorridi, perché la tua casa, così grande, e ora perfettamente ristrutturata, ugualmente straripa di ragazzi.
Matteo li porta tutti lì i suoi amici, e sono tanti. Come si fa a resistere a Matteo? E’ una fucina di idee, è entusiasmo dirompente, contagioso. Una locomotiva. Matteo trascina, e tutti gli altri dietro. Anche tu.
E’ riuscito a farti percorrere 50 Km a piedi sul Cammino di Santiago. Tu, che quando ne sentivi parlare, piegavi in basso gli angoli della bocca…” neanche se mi spingono! “ esclamavi.
Matteo, e quasi tutti i suoi amici, in marcia.
“ Ma cosa ci faccio io con voi? “ avevi protestato, poi eri partita.
Alcuni ragazzi, che come Matteo studiano al Conservatorio, avevano portato anche i loro strumenti a fiato.
Matteo, in sostituzione del Sax troppo pesante, aveva portato un clarinetto.
Là, sul piazzale della Cattedrale di Santiago, hanno offerto agli altri pellegrini un piccolo concerto.
Tu, seduta a terra, la schiena appoggiata allo zaino, li ascoltavi. Hai sentito che ti era stato dato molto, e hai ringraziato. Poi, senza un motivo, hai avuto paura.
Proprio su quel piazzale è nata in Matteo l’idea di un gruppo musicale per fare Jazz. Fantastico! Plauso generale…. naturalmente, e tu hai scattato l’ennesima foto: un brindisi augurale, con lattine di birra.
In uno dei tanti negozi di souvenir, i ragazzi hanno scovato dei ciondoli in metallo a forma di conchiglia, che è il simbolo di Santiago. Tutti ne hanno acquistato uno, insieme a un laccio nero, e l’hanno messo al collo.
“ Potrebbe essere un segno distintivo del nostro gruppo musicale “, aveva detto qualcuno.
“ Ma che c’entra con il jazz? “ aveva obiettato qualcun altro.
Sta di fatto che il ciondolo a forma di conchiglia, Matteo e gli altri lo portano al collo ad ogni esibizione.
Sta di fatto che ora la casa straripa e risuona. La musica è ovunque. Tuo marito si lamenta… “ma dove devo andare per avere un po’ di pace? “, però sprizza orgoglio da tutti i pori.
Ha fatto bonificare una cantina inutilizzata, l’ha rivestita di pannelli fonoassorbenti poi ha detto…” ragazzi, mettetevi un po’ lì! “  Loro hanno esultato e l’hanno subito battezzata “ la cantina della musica “.
Stanno lì per ore. Nonostante i pannelli, però, la musica sguscia fuori in sordina e se ne va in giro per la casa. Ti raggiunge, come una eco lontana, ti fa compagnia, ti invita. La cantina per te è un luogo magico. Durante le prove, appena hai un po’ di tempo, scendi ad ascoltare Parker, Armstrong, Fresu, Coleman… qualche arrangiamento, qualche rivisitazione. Non importa se lo stesso brano, lo stesso passaggio, si ripetono decine di volte. C’è emozione, c’è passione che rigenera, e tu vuoi esserne contagiata. Lavori da un notaio. Per tutto il giorno respiri aria di stantio, riempirti i polmoni di musica è diventata una necessità.
Racimolando tutti i loro risparmi i ragazzi hanno comperato un pulmino di terza mano, lo hanno sistemato alla bene meglio, lo hanno riverniciato con schizzi di verde e di arancio su fondo blu, e sui fianchi hanno scritto “ JAZZDREAM”. Con il pulmino portano in giro la loro musica. Il jazz e un sogno.

***
Hai cercato sul dizionario, i sinonimi della parola “ vuoto “. Circoscrivere un significato e provare a farci i conti. Razionalizzare, e poi? Per colmare il vuoto, quasi ogni giorno scrivi una lettera a tuo figlio.
Fingi, lucidamente, che sia partito per un viaggio, un lunghissimo viaggio, in posti così lontani che ci vogliono anni per tornare. Non puoi immaginarlo là dove sta. No, non puoi, davvero.
Scrivi, poi ripieghi la lettera e la metti in una scatola rifasciata di stoffa jeans. Tieni la scatola tra le mani.
E’ stato il primo regalo che ti ha fatto Matteo, quand’era bambino; dentro alla scatola c’era una lettera per te. Ora, sui fogli ripiegati, che di volta in volta riponi ordinatamente nella scatola, le parole si attorcigliano tutte, attorno all’impossibilità di accettare quel vuoto.
“ Sai che puoi tornare quando vuoi, Matteo. La cantina della musica è rimasta così, come l’hai lasciata…”
Tu, nella cantina ci vai tutti i giorni, e non sai come, ma riesci ad ascoltare contemporaneamente la musica di allora e il silenzio di adesso. Il silenzio ha avvolto di polvere il sassofono di Matteo; lui lo aveva lasciato lì, appoggiato su uno spartito aperto, solo il tempo necessario per sgranchirsi un po’ le gambe e tornare a suonare. Lo hai sfiorato una sola volta il sassofono abbandonato sullo spartito, e subito ti è parso di vederlo, tuo figlio. Si abbandonava  alla musica, ritmava con i movimenti del corpo l’andamento del pezzo, che attraverso il sassofono prendeva vita.   Nella cantina il tempo non scorre; dici a te stessa che non dovresti venirci più. Perché versare sale sulle ferite?
“ Non ha più senso per noi, rimanere in questa casa. Dovremmo vendere “, prospetta tuo marito. Tu gli fai una carezza e non rispondi. E’ invecchiato, da un giorno all’altro, come te. Siete stati molto vicini, annodati stretti, per sfuggire alla realtà. Siete stati lontani, pronti ad accusarvi per colpe che non avevate.
Ora, tra voi, un tracciato piatto. Vagate in questo vuoto come due bolle di sapone, consapevoli che anche il solo sfiorarvi può essere fatale.
Nella cantina della musica, c’è una foto di Matteo che tu gli hai scattato sul Cammino di Santiago. Viene avanti su un sentiero sterrato, lo zaino sulle spalle, e ascolta musica con le cuffiette. Chissà che musica ascoltava, chissà quali erano i suoi pensieri in quel momento. Dal Cammino ti ritrovi, come sempre, a quel giorno.
“ Vado a correre”, ti aveva detto. Lo faceva spesso; correva sul ciglio di una strada poco trafficata, che porta su in collina, dove interi quartieri di villette a schiera sono spuntati come funghi.  Chissà che musica ascoltava, quel giorno, nelle cuffiette. Chissà quali erano i suoi pensieri, quando  l’auto impazzita l’ha travolto.  Vorresti non aver perso neanche un istante della sua esistenza; ripercorri il tempo a ritroso, per recuperare anche il minimo ricordo, e quando ne scovi uno, anche appena accennato, subito lo scrivi su un quaderno, per non lasciarlo andar via mai più. Ti racconti di lui, lo riassorbi in te, lo concepisci un’altra volta. Solo così riesci a sopravvivere.

***

Anche oggi i ragazzi sono qui. E’ normale, sabato ci sarà il concerto e alcune parti devono essere ancora perfezionate. La cantina della musica ha ripreso a pulsare. Qualche mese fa sono venuti a parlarti in due.
Lo ricordi bene quel giorno di fine inverno, quando guardando un ciuffetto di primule impazienti, pensavi che forse tuo marito aveva ragione: andare via da lì, vi avrebbe fatto bene.
Sono venuti da te con un’idea: far rinascere i “Jazzdream” e poter usare la cantina per le prove. Non hanno parlato di Matteo, sembrava avessero paura a nominarlo, ma lui era sottinteso in ogni loro parola.
“ Far rinascere”, hanno detto, proprio così.
“ Ci devo pensare “ hai risposto, e loro, che come tutti i giovani non sopportavano le attese, sono andati via un po’ delusi. Le parole sono importanti; nelle parole “ far rinascere “ tu hai intravisto un barlume di speranza. Non sapevi spiegartelo, non sapevi da dove venisse, ma non ti sbagliavi. Una incerta, debolissima speranza stava germogliando dentro di te.
Hai detto sì, va bene, venite pure. Hai chiesto…” è anche per Matteo, vero?”
Loro hanno annuito, guardato altrove, tirato su col naso. Uno di loro ti ha abbracciata mormorando…grazie…
Quando il gruppo è ritornato per la prima volta alla cantina, con loro c’era Samir. Un adolescente. Cosa ci fa con loro un adolescente? Ti sei chiesta.
Te lo hanno presentato come “Samir, il mago delle percussioni”, e hanno aggiunto…” ci serviva un batterista.”
Samir viene dal Mali. Ha negli occhi l’oro del deserto e nelle mani l’oro pesante della miniera. Nelle orecchie porta il battito dell’Africa, un pulsare lento eppure incalzante, primordiale e crudele.
L’Africa di Samir è anche quella che lui liberava, appena possibile, da qualsiasi superficie fosse in grado di risuonare sotto i palmi delle sue mani e delle dita. Gli oggetti più svariati potevano diventare per lui strumenti a percussione. Parentesi, per immaginare di andare lontano. Chi avrà racimolato, per lui, mille dollari per un passaggio verso l’Europa?
Samir ha negli occhi la vastità del mare e la rabbia improvvisa delle onde. Il mare, mai visto prima, grande da far paura; salsedine che si appiccica alla pelle, acqua che non ti dà da bere. E’ arrivato con altri cento, ma da solo. Nessun documento. Minorenne, si capiva a occhio, lo hanno destinato alla casa famiglia, a pochi chilometri da qui.
Nella cantina della musica, ha visto la batteria ed è impazzito di gioia. Non ha mai disertato una prova.
Ormai manca poco al concerto che si terrà nella piazza, davanti al Comune. I ragazzi mi hanno detto che sul palco apparirà una grande scritta…” Per Matteo “. Non occorrono spiegazioni, non occorrono più parole per riempire fogli bianchi e cercare di arginare una voragine.
Tu sei scesa nella cantina per ascoltare la prova generale e Samir subito ti sorride, mentre fa rimbalzare le bacchette sui piatti e sui tamburi.
Fulminea, un’idea ti attraversa. Fai dietrofront, esci di corsa dalla cantina, ti avvii per le scale. La musica si interrompe di colpo, allora torni indietro…” continuate, non è successo niente… arrivo subito “ dici, e arrivata al secondo piano ti dirigi verso la camera di Matteo.
Sai benissimo dove cercare il ciondolo a forma di conchiglia; è ancora sulla mensola vicino al letto dove lui l’aveva lasciato. Lo afferri, lo stringi in pugno: non vuoi cambiare idea, vuoi seguire questo impulso che ti ha colta di sorpresa. Velocemente, scendi di nuovo tre rampe di scale e sei ancora lì, con i ragazzi, con la musica, con i loro sogni contagiosi. Attendi che facciano una pausa, poi ti avvicini a Samir e gli porgi il ciondolo…
” Tieni – dici – vorrei che lo portassi tu “.
Samir lo prende tra le mani, lo osserva, poi lo lega al collo…” grazie maman”  dice, e subito riprende in mano le bacchette. Tu pensi alla parola “maman”; le parole sono importanti, e questa parola ti manca da troppo tempo. Lui ha ripreso a suonare. Dirompe, ti investe, trascina, e tu vuoi lasciarti andare. Forse, il suo abbraccio alla vita, comprende anche te.