FANTASY

Ancora una volta, per tutta la notte, aveva ascoltato la voce del vento tra le rovine del castello.
Con gli occhi sbarrati nel buio aveva sperato che lei arrivasse, ed era rimasto immobile per ore, quasi temendo che anche il più piccolo movimento potesse vanificare quell’attesa.
Ma lei non venne al richiamo della luna. Lei non venne a sciogliere i nodi di un mistero o ad incarnare una follia, e mentre l’aurora stemperava il cielo, lui, sgomento, pensava alle lunghe, inutili ore che lo separavano da una nuova notte, perché non era di giorno che lei sarebbe apparsa.
Nemmeno sapeva da quante lune l’attendeva.


***

Evelina scomparve un attimo dopo che Amore l’ebbe ferita a morte.
Nessuno la vide più, era come svanita nel nulla, così… risucchiata all’improvviso nel vortice del mistero, in una notte di luna piena.
Nel borgo non un’anima perse tempo a scandagliare fatti che tutti ben conoscevano, si cercò Evelina per un paio di giorni, poi più nulla.
Colui che s’era preso gioco di lei scuoteva il capo: ” E’ un po’ tocca quella ragazza, per questo l’ho lasciata…” e la convinzione che in fondo, ognuno fosse artefice del proprio destino, placò del tutto le coscienze.
Perfino il Prevosto dal pulpito ammoniva: ”Il demonio ci tenta, ci fa credere di poter mirare in alto anche quando siamo poveri. Non cedete alle tentazioni o sarete dannati!”
Il riferimento ad Evelina era fin troppo evidente; incantevole come un bocciolo di rosa in primavera ma orfana, e povera in canna, viveva da sola in una casa minuscola al limitare del bosco e lì in quella casupola aveva fatto l’amore con il figlio dell’uomo più ricco di tutto il circondario.
Aveva dormito con lui, non una ma mille volte. Perché era povera, svergognata e chissà con quali mire.
Attendeva la notte, Evelina, attendeva le notti di luna piena, attendeva che il suo amore bussasse alla porta. Allora gli appariva nuda, vestita solo dai lunghi capelli, la pelle candida alla luce dei raggi della luna, l’arsura di un fuoco che la divorava e che solo lui sapeva placare.
Adorabile figlia della luna, che andava alla deriva negli echi delle ore.


***
Nella notte illuminata dal viso tondo della luna, il bosco gettava ombre inquiete sulla strada che portava al borgo, ma le rovine del castello risplendevano come d’argento.
Quello che vide Giovanni in quella notte, mentre con il suo carro tornava dalla fiera del bestiame, a due valli di distanza, quello che vide e che udì, Giovanni lo raccontò alla moglie con il fiato strozzato in gola, appena posò piede in casa. Messo il cavallo al galoppo, l’uomo aveva percorso l’ultimo tratto di strada in un battibaleno, con il carro che sobbalzava sulle buche del terreno e i polli che starnazzavano nelle gabbie.
”La figura di una donna, i lunghi capelli mossi dal vento, una veste opalescente, quasi un fremito sui contorni del corpo,  le braccia tese alla luna, si stagliava sulle rovine del castello e si udiva come un lamento, l’invocazione disperata di un animale ferito.” Questo raccontò Giovanni alla moglie, e poi si raccomandò di non dir niente a nessuno, che non aveva l’ambizione d’esser preso per citrullo, lui!
La moglie dapprima annuì, ma poi pensò che se qualcun altro avesse visto ciò che suo marito le aveva raccontato, non avrebbe potuto avere la soddisfazione di dare lei per prima tutti i particolari di un simile, incredibile accadimento.
La mattina seguente ne parlò con la Irma, che d’altra parte il buon vicinato richiedeva una totale confidenza, e in pochi giorni in tutto il borgo non si ragionava d’altro. Si ipotizzò che Giovanni avesse bevuto qualche bicchiere di troppo, o che la figura da lui veduta fosse in realtà una strega, giacché si sa che le streghe per i loro riti aspettano la luna piena e le rovine, sono il luogo ideale. La parola “strega” era già un buon motivo per tenersi lontano dall’antico maniero, ma allorché qualcuno volle aggiungere anche la parola “spiriti,” la gente del borgo evitava persino di guardare in direzione delle rovine, percepite oramai come una presenza ostile, un’influenza malefica su tutta la vallata.
Tuttavia della donna lassù al castello si seguitava a mormorare, nell’intimità delle famiglie con i bambini lì ad ascoltare senza un fiato, gli occhi sgranati che rimanevano tali per ore anche sotto le coperte. Se ne parlava all’osteria, sul sagrato della piccola chiesa, ovunque, ed ogni volta che s’incontrava Giovanni…” olà, Giovanni, ma sei proprio sicuro di quello che hai visto, eh? “ e l’uomo raccontava tutto da capo per la centesima volta, e non sbagliava una virgola, che aveva quella scena sempre davanti agli occhi.

A chi  per primo venne quella idea in mente, come una luce improvvisa che fa svanire il buio?
Chi pensò per primo ad Evelina? Ecco chi poteva incarnare l’angosciante visione: Evelina.
“Son trascorsi anni, com’è possibile? ” obiettavano i più. Tuttavia poco a poco quell’ipotesi apparve addirittura plausibile e allora non restava che farsi coraggio e andare a verificare, andare a rovistare per bene nelle rovine del castello e, in quelle poche stanze senza soffitto, cercare anche il minimo indizio che potesse suffragare una presenza umana in quel luogo.
Partirono di buon mattino una decina di uomini, il Borgomastro in testa.
In fila indiana percorsero lo stretto viottolo che portava al castello e salirono con fatica, che i rovi avevano divorato non solo il sentiero, ma l’intera collina.
Del castello, sorto a ridosso del medioevo come presidio dell’intera vallata, rimanevano parte delle mura esterne, un abbozzo di torre, una o due stanze da cui si intravvedeva il cielo, un residuo di scala; era come un gigante ferito, lasciato morire nell’indifferenza, l’antica forza vinta dagli attacchi nemici e dalle intemperie, il vento padrone di ogni cosa.
Giunti nei pressi di quei ruderi, gli uomini si accorsero che i rovi si erano diradati, fino a scomparire del tutto; al loro posto, qua e là,  piccole piantine in boccio, a mazzetti, quasi una mano gentile avesse voluto preservare quelle rovine dalla morsa impietosa della vegetazione.
A parte tale bizzarria della natura, sul posto non si rinvenne nulla, ma proprio nulla che confermasse la storia di Giovanni, tanto che il pover’uomo cominciò a dubitare di se stesso, si convinse di aver confuso la realtà con l’immaginazione e nei giorni seguenti ritrattò ogni cosa.

***
Mille e mille le pagine voltate dal tempo, ogni pagina un giorno sul ricordo di Evelina, ogni pagina un giorno sui capelli dell’antico amante.
Sì, era lui quella notte che percorreva la via che portava al borgo e spronava il cavallo, giacché non era mai opportuno attardarsi in quei luoghi, soprattutto a qualche ora dal tramonto.
La luna piena rischiarava la strada e le pietre del castello abbandonato ancora una volta apparivano d’argento.
All’improvviso l’uomo scorse delle luci, quasi dei segnali e subito dopo il suo cavallo cadde sulle zampe anteriori come se un ostacolo improvviso si fosse parato davanti. Contemporaneamente l’uomo venne aggredito: quante gambe, quante braccia lo stavano prendendo a pugni e a calci non avrebbe mai saputo dire. I briganti invece sì, sapevano perfettamente chi lui fosse: l’uomo più ricco di tutta la contrada.
Non ritornò a casa quella notte colui che tanti anni prima aveva spezzato il cuore di Evelina, non tornò quella notte né i dì seguenti. Un’altra scomparsa sconvolgeva la vita del borgo, ma questa volta riguardava una persona importante e quel fatto doveva avere assolutamente una spiegazione.  Allora ci si ricordò della ragazza sparita, del castello, del racconto di Giovanni e della luna piena, ancora complice di misteriose trame.
Intanto non cessavano le ricerche dell’uomo da cui dipendeva la buona sorte del borgo.
Fu dopo un mese che lo si vide giungere al paese; procedeva a piedi, lentamente ma con gli abiti in ordine ed appariva in buone condizioni, gli occhi però mandavano lampi simili alla follia e narravano una storia incredibile.
Assalito dai briganti e lasciato morente sulla strada, era stato soccorso da una fanciulla e lui, a un passo dall’aldilà, pensava d’essere già morto quando s’era visto davanti agli occhi il dolce viso di   Evelina.  Lei l’aveva salvato, curato e… amato per giorni, là al castello, dove non era vero che tutto fosse in rovina ma esisteva ancora una stanza, meravigliosa, con il focolare sempre acceso dove lui aveva potuto riposare,  mentre la fanciulla, gli lavava le ferite, lo medicava con impacchi di erbe e gli dava acqua, cibo e tutta se stessa.
Quella mattina però, al suo risveglio, l’uomo si era accorto che Evelina non c’era più, non l’aveva più trovata ora che l’aveva amata davvero e sapeva di non poter più vivere senza di lei.
Voleva, doveva riaverla.
E così andarono. Altri uomini, dopo lungo tempo, salirono le pendici del colle, districando a fatica il sentiero dall’ impenetrabile groviglio di spine, e con loro anche l’uomo appena ricomparso che non si dava pace, torturato dal desiderio cocente della ‘sua’ Evelina ed egli non sapeva dire, né spiegarsi, in che modo fosse sceso dalla collina, solo il giorno prima.
Salire, salire ancora e, ad ogni passo, aprirsi la strada con i falcetti, in silenzio, ma con un pensiero fisso comune a tutti:” Bisogna risolvere questa faccenda una volte per sempre, bisogna capire cosa succede lassù.”
Intanto il castello, sempre più vicino, appariva avvolto da sfumature rossastre che lo ricoprivano quasi per intero. Erano forse i raggi del sole a riaccendere l’anima del gigante morente?
L’impazienza colse il piccolo drappello in marcia. Si era a un passo dalla meta, a un passo dal trovare una spiegazione, anche riguardo al colore purpureo che inondava l’antico rudere; una spiegazione qualsiasi purché ce ne fosse una.
Ma ancora una volta, giunti lassù, nessuna traccia, nessuna meravigliosa stanza, né residui di alcun focolare. Si guardò ovunque, cercando qualche passaggio segreto magari sfuggito ai racconti che, di generazione in generazione, tramandavano le vicende del borgo e del suo castello, ma inutilmente.
Restavano solo le rovine, che viluppi spinosi e spire inarrestabili  neanche lambivano, restava uno stupore senza fine per quello straordinario, inspiegabile spettacolo: il castello rivestito da una miriade di piccoli fiori rossi, rossi come l’amore, a disegnare sulla storia di quelle mura, lingue di fuoco, ardenti come il cuore di Evelina, come le parole urlate dal vento tra le fessure di mute pietre secolari.
Si racconta che tutti gli uomini ritornarono al borgo ed ognuno portava una sua verità.
Si racconta che uno di loro non volle più lasciare il castello…rimase ad interrogare il vento, rimase ad attendere Evelina, nelle notti di luna piena.
Notti di luna piena                       Febbraio 2016