Se ne era andata. La porta sbattuta con violenza aveva sigillato noi due come in un bunker, nell’impossibilità di raggiungerla. Noi dentro, lei fuori.
Virginia se n’era andata dopo una lite furiosa con suo padre, mentre io assistevo impotente a un copione messo in scena già troppe volte e tuttavia intuivo che quello scontro era qualcosa di più grave, forse un abisso incolmabile tra lui e lei. Tra noi e lei.
“ E’ un buono a nulla, un mezzo tossico – aveva urlato Maurizio – e in questa casa non ci metterà mai piede!”
“ Allora uscirò io e non ritornerò, stanne certo!”
Era stata l’ultima frase che avevo sentito da Virginia, l’ultimo grido prima che sparisse dalla nostra vita: un anno, due mesi e quattro giorni fa.
Oggi con la posta mi è arrivata una lettera, non una vera lettera, piuttosto una comunicazione, un invito perentorio, un ordine….” Ciao mamma. Mercoledì 22 gennaio vai da Roberta nel pomeriggio, per le cinque, e collegati a Skype. Ti contatto io. Non dire niente a papà.”
Rimango con quel messaggio in mano come inebetita e solo dopo una confusa frazione temporale, mi accorgo che l’acqua della pasta è uscita dalla pentola, ha spento il fuoco e allagato i fornelli. Ma non muovo un dito.
Mia figlia vuole vedermi, parlarmi… dopo tanto silenzio. Mille cavalli al galoppo mi sconquassano le vene.
Virginia vuole vedermi, mi ripeto all’infinito, forse qualcosa può accadere.
Skype… ne ho sentito parlare, ma non so esattamente come funziona, con la tecnologia ho un approccio disastroso. Devo telefonare a Roberta, subito.


Sono in attesa davanti a questo schermo già da un quarto d’ora, in anticipo di quasi mezz’ora. Non si sa mai. Roberta scuote il capo…” vieni, faccio un caffè, lo sai che Virginia non è mai stata puntuale in vita sua.”
No, no. Non riuscirei a ingoiare neanche una goccia d’acqua. Come lo chiamano? Bolo isterico. Mi alzo e vado in bagno, l’ansia mi scatena la vescica. Mi guardo allo specchio: sono stata dal parrucchiere e anche dall’estetista. Errore, sono troppo pettinata. Ho comperato anche un paio di orecchini un po’ appariscenti … ma non devo andare a un matrimonio, devo solo incontrare mia figlia. Voglio apparire più naturale possibile: mi tolgo gli orecchini, mi spettino un po’.
Incontrare mia figlia attraverso uno schermo, dopo un anno, due mesi e dieci giorni. Incontrare mia figlia senza poterla abbracciare, accarezzarla sui capelli, agganciare i suoi occhi. Non so neanche dove stia di preciso. Il bolo isterico si trasforma in pianto. Alto là, non si può piangere, non ora. O forse sì?
Non sarebbe forse meglio che mi vedesse come mi sento realmente da quando è andata via, cioè inutile e disperata?
Ecco, ci siamo. Un cicaleccio mi avverte del contatto, appaiono i simboli sul monitor: clicco “ telecamera”.
Attraverso lo schermo incontro un muro grigio, un divano rosso e sul muro, proprio sopra al divano, c’è la riproduzione di un quadro impressionista. Virginia non c’è.
“…Virginia?.. Virginia, ci sei?” Non la vedo. Non la sento.
La chiamo ancora, la voce un po’ alterata sta cedendo allo sgomento. “ Virginia… ”
Forse qualcosa non funziona in questo maledetto Skype!
Mi alzo di scatto, vado a cercare Roberta. Perché, perché Virginia non si vede? Non c’è nemmeno Roberta.
Certo, lo aveva detto…” ti lascio sola con tua figlia… è meglio.”
Torno al computer, rimango muta, non so cosa fare. Poi li vedo: cinque sassolini bianchi, in fila, sul divano rosso.
C’è un senso, in tutto questo. Virginia bambina, il gioco dei sassolini di Pollicino. Senso del gioco…cercami.
SKYPE                                             APRILE 2016