Cercami…”ma dove sei? Ci scommetto che hai imbrogliato di nuovo, i sassolini mi portano nella direzione sbagliata…” ma poi il gioco di Pollicino funzionava sempre, da bambina.
Un gioco… non è più un gioco adesso e io sono una stupida. Solo una stupida può pensare che bastino cinque sassolini perché lei mi possa trovare, dopo tutto questo tempo, che non so neanche più da quanto me ne sono andata.
La contatterò su Skype tra poco e lei ci sarà, non ho dubbi, anche se approcciare ogni tipo di tecnologia la mette nell’ansia più totale. Ci sarà, ne sono sicura e poi Roberta sa come aiutarla, nel caso si perdesse sullo schermo.
Io la vedrò, lei vedrà solo cinque sassolini bianchi sul divano rosso. Non mi vedrà perché io non me la sento di farmi guardare, non ancora.
Ho la testa vuota e nel vuoto galleggio, come un astronauta, e dall’alto di questo nulla vedo brandelli dei miei neanche vent’anni. Forse sono già morta, ma se fosse non avrei in bocca questo terribile gusto di fiele.
Cosa è stato, cosa ha frantumato, come una folgore, gli incanti, le favole, i sogni? Cosa ci ha aggrediti e divisi, all’improvviso nemici, sempre più lontani, inconciliabili? Io che da un giorno all’altro mordo il freno, in un’ostilità crescente, ribelle a qualsiasi limitazione; basta con le regole, ho quattordici anni, esco con Christian, non mi scocciare.
Mio padre sbraita…” comando io, fai quello che dico io…”, mia madre, confusa…” Virginia, cosa ti prende, non ti riconosco più, sei ancora una bambina…”
No, non sono una bambina, proprio per niente, ho il seno di una donna e anche le cosce di una donna, con la cellulite. Per questo mi sono messa a dieta, altrimenti con Christian non supererò l’estate.
Specchio impietoso, altro che specchio delle mie brame! Quante inutili favole mi avete raccontato: bisogna essere belle dentro, l’apparenza è giustappunto “apparenza”, nell’apparenza non c’è sostanza, non c’è verità. Falso, tutto assolutamente falso. Devi essere bella fuori e stronza dentro, allora sì, allora stai nel giro, altrimenti sei “out”. E’ così che funziona.
Voglio libertà, voglio conoscere il pericolo e guardarlo in faccia, voglio stare con chi mi pare, soprattutto voglio stare lontana da voi, da un padre padrone e da una madre troppo insicura, che non mi sa aiutare.
Sono scappata da casa tre volte, per pochi giorni, ma sono sempre ritornata; ero minorenne, rischiavo la casa famiglia.
Poi ho conosciuto Manuel. ” Espana” lo chiamavano tutti. Bello da morire. Bello e oscuro, misterioso e senza freni. Ricco da schifo. Tutte lo volevano, lui guardava me….”vieni, occhi viola” mi ha detto una sera e così sono andata.
E’stato a quel punto che ho lasciato casa, potevo farlo, ero maggiorenne ormai.
Sento ancora mio padre urlare…” è un mezzo tossico e in questa casa non ci metterà mai piede! “ Per mio padre se non sei sbarbato e non hai lo sguardo di un bambino, sei tossico.
Manuel si faceva un po’ di coca, niente di più, e anch’io. Manuel giocava; giocava con le persone e con se stesso, gli piaceva stupire, recitare, e vestire i panni di un povero derelitto era la sua specialità… “perché  vivere da povero quando sai di non esserlo per niente è adrenalina pura, e quando ti stufi, ecco qua…” e tirava fuori la carta di credito.
Una volta siamo entrati da Louis Vuitton: mi ha regalato uno zainetto davanti alla faccia sbalordita della commessa che in prima battuta aveva cercato gentilmente di dissuaderci dall’entrare. E’ stato divertente, ero come in un film.
Giravamo l’Italia, un po’ qua un po’ là, con l’autostop, a volte in treno. Abbiamo dormito ovunque e mangiato qualsiasi cosa, tanto per me era uguale, meno mangiavo meglio era, volevo essere bella per Manuel.
Lui ogni tre mesi voltava pagina , l’ unica regola che si era imposto, ma per me ha fatto un’eccezione.
“Occhi viola, tu mi trattieni e questo non è bello, non era nei patti…” diceva, ma io ero felice da star male.
Ha voltato pagina quando meno me l’aspettavo; una mattina ha aperto gli occhi e ha detto che era finita… “…mi sposto, vado in Germania. Da solo. “
“Sto male,  portami con te, farò qualsiasi cosa.”  Senza neanche rispondermi ha radunato le sue cose, mi ha dato un bacio, ha detto…”ciao, occhi viola” e se ne è andato. Ha lasciato l’affitto di questa camera pagato per un mese.
Da sedici giorni e quattro ore il divano rosso è diventato la mia camera dentro la camera, tipo scatole cinesi, praticamente vivo lì sopra. Oggi me ne sono trascinata fuori per far posto ai sassolini; normalmente lo abbandono solo per andare in bagno, per lo più a vomitare.
Davanti al divano, posato su una sedia, c’è il computer aperto: è arrivato il momento, mi collego a Skype. Chiamo, lei risponde subito. Sono messa di sghimbescio rispetto a l computer, ma la vedo, non è cambiata affatto, sempre curata, camicetta e foulard, e le sta bene la frangia alla Gruber. Evidentemente non le sono poi mancata così tanto.
“ Virginia…Virginia, ci sei?” la sua voce tradisce il pianto, una disperata invocazione. L’aspetto non conta: sta male, come me. E’ mia madre, l’abbandono può uccidere.
Scappo, raggiungo il bagno a fatica, non voglio più sentire la sua voce. E’ stato un errore, mi dico. Tutta questa messinscena le darà una sola certezza: che sono viva, ma non le indicherà la via per raggiungermi. Ora torno di là e mi disconnetto.
C’è, che una cosa o la vuoi o non la vuoi, e quando non lo sai se vuoi che accada, quando non ce la fai a dire ”eccomi “, allora ti nascondi dietro a cinque sassolini bianchi.
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