Il molo era un crogiuolo di anime simile a un girone dantesco, persone e cose accatastate ovunque. Molti erano lì già da qualche giorno, secondo le direttive disoneste dei “procacciatori di immigrati”, che d’accordo con altri disonesti, li teneva­no sulle banchine il più possibile per poterli agganciare e de­rubare più o meno apertamente, così parte dei soldi che quei poveretti avevano racimolato con grandi sacrifici per reinven­tare la loro esistenza all’altro capo del mondo, andavano perduti già nella terra d’origine. Del resto, anche nella lettera che il padre di Caterina aveva ricevuto dal cugino Giuseppe, oltre alle prospettive di una nuova vita, si raccontava di quanto fos­se difficile sfuggire ai raggiri che si perpetuavano sui moli, sia alla partenza che all’arrivo a Buenos Aires, e il cugino raccomandava di stare in guardia e non fidarsi mai di nessuno, che i pericoli del viaggio iniziavano già prima di partire.
Fu così che Domenico, con la moglie e la figlia Caterina, verso la metà di ottobre, anno 1884, salì su uno dei tanti piroscafi diretti in Argentina; grazie al suo piglio deciso e agli avvertimenti ricevuti, in pratica era riuscito a schivare ogni possibile raggiro, dal locandiere che li aveva ospitati per una notte e che pretendeva più del prezzo pattuito, al furto dei bagagli; da chi cercava la rissa, ai biscazzieri che promettevano agli sprovveduti di raddoppiare il loro esiguo capitale. Tuttavia quando andò ad acquistare le seggioline pieghevoli che costituivano un corredo indispensabile per fronteggiare la traversata, le pagò più del dovuto poiché a detta del venditore erano le ultime.
Già dopo il controllo dei documenti Domenico si sentì sollevato: aveva salvato il suo piccolo gruzzolo, i bagagli e soprattutto le sue due donne erano lì con lui, che gli era apparso da subito insopportabile il pensiero di partire senza di loro.
Un passo tratto da Storie Semplici

Racconto   - la stanza delle mele -