NOVEMBRE '17

METTI  UNA  SERA  A  CENA

Metti una sera a cena. Con Elena, Alessandra, Enrico, Giorgio, Tiziana I. , Tiziana C. e il suo bellissimo bambino Filippo.
Metti una sera a cena, e sono trascorsi trentadue anni da quel primo giorno di scuola.
Ora ho davanti a me uomini e donne: adulti. Li guardo e mi chiedo come sia possibile ritrovarli esattamente come li ho lasciati, poco più che bambini, alla fine della quinta elementare.
Sono rimasti fedeli a loro stessi, non sono cambiati, nonostante abbiano da tempo impostate le loro vite su direzioni certe e magari abbiano già attraversato problemi e difficoltà.
Ritrovo gli occhi grigi e ridenti di Enrico, che ha cambiato turno di lavoro per poter essere qui: semplicità e schiettezza che conquistano, e sento che è davvero contento di rivedermi.
Accanto a me stanno sedute Tiziana I. e Tiziana C.
Giorgio ironizza: le due prime della classe vicino alla maestra! Prime della classe. Nessuno è primo o ultimo, se non per l’impegno con cui lavora. Il mio obiettivo è stato il meglio di ognuno, e loro lo dimostrano.
Tiziana I. racconta dei suoi due bambini con la stessa dolcezza con cui si metteva sempre a disposizione dei compagni in difficoltà. E poi eccola, quella sua vaga malinconia, il suo modo per avvicinarsi all’essenza delle cose.
Il viso di Tiziana C. s’illumina mentre guarda il suo Filippo. Ha un lavoro impegnativo, un bambino piccolo, un trasloco non del tutto ultimato. Stanca? E quando mai? Maestra ho finito tutti gli esercizi, mi dai qualcos’altro da fare? Eccola lì, tale e quale.
Elena e Alessandra sono sedute vicine. Amiche inseparabili, proprio dai banchi di scuola. Alessandra più riflessiva, Elena briosa. Sono loro le promotrici di questo nostro incontro: sono attrattive, coinvolgenti. Creano un campo magnetico a cui non si può resistere. Il loro segreto è l’entusiasmo, che si trasforma in armonia. Armonia nel sorriso, nei gesti, nelle parole. Armonia contagiosa. Alessandra più riflessiva, Elena briosa: come allora.
Di fronte a loro sta seduto Giorgio. Caro Giorgio, non ti vedevo dall’esame della quinta! Lui mi dà del “lei”.
Sei impazzito? Dicono gli altri. Giorgio, allevatore, agricoltore e…ballerino! Lui sì che mi spiazza.
Ballerino: e chi lo avrebbe mai immaginato? Ma poi colgo il suo sguardo, lo sento parlare, raccontare, e lo riconosco immediatamente. Autoironia, la medesima ironia, così insolita in un bambino, con cui lui osservava maestra e compagni. Un bambino un po’ taciturno in verità. Apparentemente adesso parla molto di più, ma io credo che scelga accuratamente le cose da dire: arguto e divertente.
E così eccoci insieme, iniziando con un brindisi e poi dall’antipasto al dolce. E la serata vola. E mentre si parla, poco alla volta l’intera classe è con noi.
Metti una sera a cena…seguendo il filo invisibile e prezioso che ci ha portato qui.
Grazie. Grazie a tutti per questo momento.


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Ancora classe prima.
Avere sei anni e vivere in campagna, ai confini del bosco, a contatto diretto con le stagioni che fortemente caratterizzano tutti gli aspetti della natura: flora, fauna, cielo e terra. Trascorrere molto tempo con i nonni, e da loro imparare tutto quello che c’è da sapere in fatto di orti, alberi, semine, raccolti e piccoli allevamenti. Ma da parecchi mesi c’era la scuola: un bel grattacapo! Non che Pierino la frequentasse malvolentieri, anzi, gli piacevano i compagni di classe e a volte gli piaceva anche la maestra!  Apprezzava particolarmente gli spostamenti in pulmino, casa- scuola e viceversa. Tuttavia era inequivocabile, che il principale difetto dell’istituzione scolastica fosse lo svolgimento di attività al chiuso e per lo più sedentarie. Inoltre, per lui già così impegnato ad aiutare i nonni, era molto difficile dedicare tempo e testa a una serie di apprendimenti come dire….inconsistenti. Non solo: la maestra ( cioè la sottoscritta), si ostinava a voler prolungare lo spazio temporale scolastico anche al pomeriggio, assegnando i compiti tutti i santi giorni, e sua madre, sempre d’accordo con la maestra, glieli faceva eseguire, eccome! Ma può capitare che per ragioni di lavoro, qualche volta una mamma ritorni a casa troppo tardi…
Pierino glielo aveva chiesto alla maestra se poteva non farli ‘sti compiti benedetti, che era già così tanto impegnato! Allora anche tutti i suoi compagni avevano chiesto di non farli neanche loro, ma la maestra, severa, aveva detto:
“Non se ne parla proprio, e non fatemi arrabbiare, che se non vedo i compiti fatti, sono guai! “
E li controllava tutti i giorni, peggio che essere a militare, che il nonno gli aveva detto che ti controllano sempre se sei pulito.
Pierino ci sperava, quel giorno di maggio, che la maestra avesse così tanto da fare da dimenticarsi di ritirare i quaderni, e da quando era entrato in aula pregava per questo, ma niente! Lei chiese a quella smorfiosetta
del primo banco “ raccogli tutti i quaderni dei compiti, grazie.”
Pierino divenne tutto rosso mentre consegnava il suo, di quaderno, e di colpo gli scappò la pipì… ma non si può rimanere in bagno in eterno. Quando tornò in classe, trovò bell’e pronto sulla lavagna un esercizio di matematica. Si mise al lavoro, ma era distratto: teneva d’occhio la pila di quaderni che la maestra scorreva uno ad uno…finché prese il suo. Trascorse una manciata di interminabili minuti.
“ Pierino, perché non hai fatto i compiti? “
Allora Pierino, che era di nuovo tutto rosso in viso perché era anche un po’ arrabbiato, decise di riprendere in mano la sua vita. Quando ci vuole ci vuole. Si alzò dal banco e andò alla cattedra; era risoluto ad accettare le conseguenze delle sue parole.
“ Non ho avuto tempo – rispose alla maestra – ho dovuto spantegare il letame sulle patate.”
Poi prese un respiro profondo e aggiunse: “ Lo vuoi capire, sì o no? “



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Classe prima. Al suo terzo giorno di scuola, Giacomino entra nell’aula, va al suo posto, posa lo zaino e subito mi si avvicina.
“ Maestra – dice – sei brava, e mi sei anche simpatica.”
“ Grazie – rispondo – mi sei simpatico anche tu.”
Lui sorride senza gli incisivi. Sembra un topolino che abbia dimenticato i denti nel formaggio. Sibilando le “s” , continua:
“ Però io non devo imparare a scrivere perché da grande io guido la ruspa.” (ricordiamo che per i bambini di quell’età, tra presente e futuro non vi è alcuna differenza.)
“ La ruspa? “ gli faccio eco, mostrandomi stupita e interessata allo stesso tempo.
“ Sì “ conferma.
“ Una ruspa grande come? “ chiedo.
Giacomino allarga le braccia più che può, come se volesse farci stare tutto il mondo…” così! “ esclama.
Io prendo una pausa. Assumo l’aria di chi sta valutando una situazione molto attentamente, poi affermo:
“ Per guidare una ruspa così grande ci vuole la patente.”
Il bambino diventa tutto rosso in viso. Io incalzo…” se non impari a leggere e a scrivere la patente per la ruspa non la potrai prendere mai.”
Giacomino abbassa lo sguardo. Anche lui ora pare valutare la situazione molto attentamente.
“ Noo? ” chiede conferma.
“ No “, rispondo risoluta e subito dopo invito tutti i bambini a mettersi composti nei banchi e a prendere il necessario per iniziare il lavoro. Anche Giacomino siede al proprio posto, prende dallo zaino il quaderno, la gomma, la matita e il temperino. Tenendo in mano matita e temperino, si alza e va verso il cestino della carta. Sembra sopraffatto da pensieri più grandi di lui. Passa davanti alla cattedra, alza lo sguardo su di me…” intanto faccio la punta “, mi comunica con aria seriosa.




                                                                                                                       Aprile 2016

 
    Da qualche giorno, negli occhi di Didì ( nome di fantasia ) alberga la tristezza, e nei suoi quaderni alberga la trascuratezza. Lavora male, svogliatamente ed è strano.
Appare apatica, nessuna attività accende il suo interesse, neanche il gioco. I compagni di classe non riescono a coinvolgerla più di tanto. Così di colpo?
Una mattina la chiamo alla cattedra, la tengo vicina, le prendo le mani…” qualcosa non va? “ chiedo.
Lei fa segno di no con la testa, ma gli occhi le si riempiono di lacrime.
L’ accarezzo lievemente sul viso, poi la lascio andare. Non serve insistere, lo so. Se le cose non cambieranno, mi metterò in contatto con i genitori. Qualche giorno dopo è Didì che, durante l’intervallo, viene da me. Appoggia i gomiti sulla cattedra, le piccole mani, a conchiglia a sorreggere il mento.
“ Sai – mi confida – la mia mamma è rimasta lasciata. “

                                                                                                                       
Febbraio 2016

Il bambino dei biglietti amorosi, nonostante i miei ripetuti rimproveri, non demorde. L’attrazione per le bimbe, soprattutto se bionde, è troppo forte, così che dedica gran parte del suo tempo a stilare biglietti.
Una mattina, poco prima della ricreazione, scopro che ha eseguito neanche la metà degli esercizi assegnati, ma in compenso ha scritto un lungo biglietto abbellito da molti cuoricini.
“ Benissimo - dico io – recupererai durante l’intervallo. Potrai fare la merenda, ma subito dopo ritornerai a scrivere senza giocare. ” Poi aggiungo in tono severo “…e smettila di pensare di continuo a questa o a quella fidanzata. Sei ancora un bambino. Alle fidanzate ci penserai quando sarai grande! “
Il bambino non risponde, ubbidiente resta seduto al suo posto, mentre tutti gli altri si organizzano in piccoli gruppi. Ad un certo punto mi viene vicino con fare deciso e mi guarda determinato. Deve farmi capire una cosa importantissima che forse non ho ben presente.
“ Scusa maestra – dice – posso chiedere a Tina di sedersi vicino a me? Quando sarò più grande, magari lei sarà già sposata! “

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Gennaio 2016

Chi si trova a viaggiare nella scuola primaria, seduto dietro alla cattedra, deve affrontare quotidianamente mille interrogativi, spesso senza risposta. Ad esempio, la categoria “ oggetti smarriti” rappresenta una questione sempre aperta cui è difficile dare una spiegazione. Accade infatti che gli oggetti in dotazione al corredo scolastico di ciascun bambino, rimangono di  proprietà del bambino stesso finché non toccano terra.
Gomme, penne, matite colorate, pennarelli, temperini e quant’altro, nell’attimo in cui vengono ritrovati sul pavimento, diventano oggetti di nessuno e non c’è un solo alunno che ammetta di esserne il possessore.
Sulla cattedra c’è sempre una scatola contenente materiale scolastico disconosciuto, non di rado del tutto nuovo e per lo più vani risultano i tentativi dell’insegnante di far ritornare gli oggetti rinvenuti, sui banchi da cui sono caduti.  Alla fine ci si rassegna, mentre nella scatola il numero degli “oggetti smarriti” cresce ogni giorno e vi si può trovare qualunque cosa.
Non è tutto. Può apparire inverosimile ma ( benché in forma più contenuta) lo stesso fenomeno riguarda pure i capi di vestiario. Una mattina di fine di ottobre, prima dell’arrivo dei bambini, trovo appeso a un attaccapanni della classe un giubbino imbottito di una nota marca jeans.
“ Ecco – penso – qualcuno ieri l’ha dimenticato ed è tornato a casa senza.”  Intanto i bambini cominciano ad arrivare: a ognuno chiedo se il giorno prima avesse dimenticato il giubbino ma tutti negano risoluti, con fermezza. L’indumento rimane appeso al gancio-attaccapanni per settimane. Nel frattempo il personale ausiliario fa il giro delle altre classi perché pare impossibile non ci sia un proprietario, ma è tutto inutile.
“ Presto ci sarà l’assemblea dei genitori – dico – chiederemo a loro.”
Il giorno della riunione il giubbino passa di mano in mano, osservato nei particolari,valutato nella larghezza e nella lunghezza, persino annusato… no, non appartiene a nessun bambino della nostra classe… forse ritornando a chiedere nelle altre….
Così il giubbino di jeans riprende il posto sull’attaccapanni e là rimane, ma non è solo. Nel corso dell’anno vengono abbandonati, nel più assoluto anonimato, un golfino, un paio di berretti, sciarpe, guanti, ombrelli e persino un grembiule.
Certi comportamenti sono, ahimè, generalizzati e al termine di ogni anno scolastico ciascuna classe può contare su un certo numero di oggetti…piovuti dal cielo.
Magari se anni addietro avete smarrito qualcosa, chissà…potreste trovarlo ancora nella scuola che avete frequentato da bambini.




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Sapete cosa accade ai bambini ( magari non a tutti, ma a molti ) quando entrano nella scuola primaria?
Giorno dopo giorno si convincono che la maestra sia un tutt’uno con l’ambiente scolastico, ne faccia parte in modo imprescindibile e quindi stia sempre lì, come la cattedra, la lavagna, i banchi, le sedie e i cartelloni murali con le lettere dell’alfabeto.
In qualche modo vedono la maestra come una “persona non persona” che vive di libri, quaderni, penne rosse e non può e non deve nutrire altri interessi al di fuori della propria classe.
Una mattina, mi trovo appunto in una classe 1° nuova di zecca, quando dopo un lieve bussare alla porta vedo apparire la bidella…” maestra, può venire? C’è sua madre al telefono. – dice - Resto io con i bambini.”
Esco dalla classe, vado al telefono ( niente cellulari, allora! ). Rientro poco dopo e si riprende la lezione.
Mentre sono intenta a scrivere alla lavagna, una piccola mano si posa sul mio braccio. Mi chino sulla bambina che mi è venuta accanto…” sì, dimmi, cosa c’è? “ Lei ha un attimo di esitazione, poi la curiosità ha il sopravvento…” ma davvero ce l’hai anche tu la mamma?” mi chiede incredula.

Un giorno, uscendo da scuola, mi catapulto nel supermercato poco distante per una velocissima spesa. Mi fermo al banco dei surgelati ed ecco Carlo che sta scegliendo la pizza con sua madre. Ci salutiamo…” buon giorno, maestra…oggi Carlo è deciso per la pizza “ mi informa la signora.
Io sorrido. “ E a chi non piace la pizza? “ rispondo.
Il giorno seguente, a scuola, durante la ricreazione, il bambino mi si avvicina con fare furtivo, poi mi sussurra all’orecchio, in modo che nessuno sappia…che lui sa: “ ti ho vista ieri…al supermercato…”
Ecco un altro che mi ha beccata al di fuori della classe !
“ Anch’io ti ho visto – rispondo – manteniamo il segreto, vuoi? “ Mi appello alla sua comprensione.
Carlo se ne torna a giocare tutto impettito, nel ruolo inedito di mio complice.


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Settembre
                                                                                                       
Classe quarta. Durante un laboratorio di lettura io leggo ad alta voce un racconto che ha come protagonista un certo commissario di polizia. Di seguito invito i bambini a sottolineare le parole di cui non conoscono il significato per un arricchimento lessicale. Il più gettonato tra i vocaboli  “misteriosi” è la parola “criptato” che in quel contesto è associata alla parola “linguaggio”.
Nessun bambino sa attribuire un significato al termine in questione e la ricerca sul vocabolario non chiarisce del tutto le idee. Passiamo quindi ad una spiegazione semplice, facilmente comprensibile: CRIPTATO vuol dire “segreto”, che solo pochi possono capire.
Una bambina subito commenta: “ E’ stato veramente furbo il ladro, a scrivere quel biglietto che solo il suo complice poteva capire!”
Tutti convengono che il ladro ha una marcia in più rispetto al commissario.
Terminata la conversazione invito i bambini a scrivere almeno tre frasi che contengano la parola “criptato”.
Alla fine della lezione raccolgo i quaderni per la correzione. L’unica frase scritta da Pierino, un bambino che deve fare i conti con la dislessia, afferma che quando lui legge e non capisce è perché lo scrittore vuol fare il furbo e scrive in modo criptato. Sorrido, ma la posizione di Pierino mi fa riflettere. Siamo tutti dislessici rispetto a quanto non capiamo. E’ essenziale dunque trovare un sistema di decodificazione anche per Pierino.


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Ottobre

Dicembre è iniziato da pochi giorni. Una bimba della prima classe, durante la ricreazione, viene alla cattedra e sbocconcellando una merendina dice…” sai maestra, dove vado io per Natale?”
Le sorrido…”no, non lo so.”
“ Vado in Puglia dalla nonna Pina.”
“ Che bello! – esclamo – E’ un lungo viaggio e sarà un bellissimo Natale.”
Lei annuisce molto soddisfatta e torna dalle compagne.
Il giorno dopo la bambina viene ancora alla cattedra e mi ripete…” sai maestra, dove vado io per Natale ? “
Capisco che è gratificante per lei ridarmi questa notizia, quindi faccio finta di non ricordare e rispondo..” no, dimmi.”
Per qualche settimana la ricreazione ci vede costantemente impegnate in questo replay, con un’unica variante: la bimba ha imparato a riassumere  tutto in un’unica locuzione…” sai maestra, dove vado io per Natale? Vado in Puglia dalla nonna Pina.”
Pochi giorni prima delle sospirate vacanze natalizie decido che è giunto il momento di assicurare all’alunna in questione che ho ben compreso dove e con chi trascorrerà le festività e quando lei mi si avvicina, io neanche la lascio parlare…” ci scommetto che per Natale vai in Puglia dalla nonna Pina! “ dico.
La spiazzo. Rimane con la merendina a mezz’aria, poi incredula esclama: “ e tu come fai a sapere?


 

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Novembre

Lezione di grammatica, spiegazione dei nomi collettivi.
Definizione: si chiamano ‘nomi collettivi’ quei nomi che anche al singolare indicano tante cose, tanti animali o tante persone.
Procediamo con un esempio:
-La fanteria (sing. ) combatte a piedi.
-I fanti ( plur. ) combattono a piedi.

Esercitazione
Scrivi una breve frase per ognuno dei seguenti nomi collettivi e per ogni nome al plurale corrispondente.
Gregge – pecore / flotta – navi / pineta – pini / pioppeto – pioppi / folla – persone -/ stormo – uccelli / sciame – api.

Noto che l’alunno  del secondo banco, nella fila centrale, scrive senza un attimo di esitazione. Poco dopo mi porta il quaderno, ha già eseguito la consegna.  Leggo:
Il gregge combatte a piedi. / Le pecore combattono a piedi.
La flotta combatte a piedi. / Le navi combattono a piedi.
La pineta combatte a piedi./ I pini combattono a piedi.
Il pioppeto combatte a piedi./ I pioppi combattono a piedi.
La folla combatte a piedi./ Le persone combattono a piedi.
Lo stormo combatte a piedi./ Gli uccelli combattono a piedi.
Lo sciame combatte a piedi./ Le api combattono a piedi.
            Sarà il caso di rivedere la spiegazione.


Dicembre


Luigino frequenta la prima classe. Da poco è in possesso di una qualche strumentalità nel leggere – scrivere  e si cimenta nel suo primo biglietto amoroso.
Il testo dice: “ Tina ti amo mi vuoi paciare? Si o no? Se no, passa il foio a Nina.”

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Quando si superano i cinquant’anni non necessariamente occorre farlo sapere, ma di fronte a esplicite richieste non ci si può sottrarre.
Nell’ora di assistenza alla mensa scolastica, mi siedo al tavolo con quattro mie alunne di terza classe. Siamo prossimi al carnevale e io ascolto le bambine descrivere i costumi che indosseranno alla sfilata delle maschere e alla festa della “pentolaccia”. A un certo punto una di loro vuol farmi entrare nella conversazione…” e tu come ti mascheri, maestra? “
Rispondo che non è più cosa per me; con il passare degli anni ho perso, poco a poco, l’interesse per questo genere di cose. La bambina mi guarda attenta, sembra riflettere su quanto ho appena detto, poi mi chiede a bruciapelo…” ma tu, quanti anni hai?”
Le rispondo altrettanto a bruciapelo…” cinquantatre. ” Lei spalanca gli occhi, si porta le mani sul cuore ed esclama “ ohh!! “ come se avesse appena ricevuto una pessima notizia. Guarda le compagne. Sono tutte ammutolite e in evidente imbarazzo. Io continuo tranquillamente a masticare la mia porzione di carne di pollo. Vedo le bambine confabulare, poi una di loro mi si avvicina…” bhe – dice – sei giovane per essere tanto vecchia!! “   E’ un complimento. Le quattro bambine annuiscono e mi sorridono. Io dico “ grazie” e sorrido a mia volta….” Carine” penso “ hanno voluto dirmi che a loro piaccio anche così, nonostante l’età.” Allora perché, all’improvviso, i quarantacinque anni che ci separano mi appaiono un tempo terribilmente ingombrante?

                                                                                                     E non finisce qui .......
VITA DA MAESTRA